In questi giorni è uscito il rapporto OMS/UNICEF sul marketing della formula.
Sin dal momento in cui una donna annuncia sui social di aspettare un bambino, entra nei radar del marketing dei surrogati del latte materno: un'industria che fattura 56 miliardi di dollari l'anno (cifra pari a circa 8 volte il bilancio globale dell'UNICEF), e ne spende circa il 10% in pubblicità. Una gigantesca macchina commerciale che antepone il profitto a qualsiasi altra considerazione, inclusa la tutela della salute dei neonati e delle mamme, considerato che l'allattamento esteso universalmente salverebbe ogni anno la vita di 800.000 neonati ed eviterebbe 20.000 casi di tumore al seno nelle madri.
UNICEF e OMS hanno studiato approfonditamente per 2 anni il marketing del latte in polvere in 8 paesi (dal Regno Unito alla Cina, dal Messico alla Nigeria), rappresentativi dell'intero pianeta, e hanno sintetizzato informazioni e dati in un rapporto sconvolgente, consultabile cliccando QUI.
Dagli spot in tv ai messaggi su TikTok, dal coinvolgimento degli operatori sanitari all'intrusione nei gruppi di discussione tra mamme su WhatsApp, nessun canale viene trascurato per aggirare le normative e raggiungere le neo-mamme.
Una pratica che UNICEF e OMS chiedono sia limitata per ragioni di salute pubblica, al pari di quanto avviene per la pubblicità sul tabacco.